Riviera dei Fiori

Apricale e Isolabona:

dalla convivenza al divorzio (1287-1573).


1° puntata

Ancora oggi è facile riscontrare vecchi dissapori tra gli abitanti dei vari comuni che popolano la val Nervia. Per trovare le ragioni, bisogna ripercorrere gli avvenimenti storici che hanno visto protagonisti questi popoli. Il quadro più esaustivo ci viene fornito da Girolamo Rossi che, nell'introduzione della Storia del marchesato di Dolceacqua e dei comuni di Pigna e Castelfranco, scrive: “Non sarà male il premettere, come la valle della Nervia la quale pareva destinata dalla natura a formare una sola famiglia avesse nel medio evo tre signori. Dolceacqua, Apricale, Isola Buona e Perinaldo appartenevano ai Doria, sulle porte di Pigna e di Rocchetta si ergeva lo stemma prima dei Reali di Napoli quindi dei Conti di Savoja, Castelfranco poi e Camporosso primo ed irìtimo paesi della valle riposavano all'ombra del vessillo genovese. Or mi si dica come si potesse ripromettere vita tranquilla, dedicata almeno alle cure dei campi in cosiffatta contrada, dove a ogni passo si incontrava un confine; a ogni confine una contestazione; in due uomini due avversari e bene spesso due nemici! Ben troppo sovente, e non a ragione, si va gridando da alcuni piagnoni ali' antica probità sparita, alle patriarcali virtù che restano una memoria. Chi mi seguirà in questo racconto caverà invece quanto siasi guadagnato da queste popolazioni così nel fisico come nel morale. E se molto resta ancora a farsi per giunger al progresso e alla cultura delle città e terre circonvicine, non se ne ha a mandare la colpa che alla inerzia di alcuni municipi, troppo restii, ove trattisi di assegnare sui bilanci spese a favore dell' insegnamento. Facciano senno i presenti, e si persuadano che cagione degli infiniti mali da cui furono aggravati i nostri avi fu l'ignoranza, essendo appunto l'ignoranza un gran male, perché è terreno dove si pianta e prospera l'errore. Me fortunato, se la mia debole voce troverà eco nel cuore di leali e generosi abitatori della valle della Nervia !”
Val Nervia
Questo brano illustra eloquentemente le difficoltà di convivenza, dovuta soprattutto agli interessi dei signori feudatari che, sugli abitatori della valle, esercitavano i propri diritti feudali. Isolabona e Apricale, pur appartenendo allo stesso «signore», sono i due comuni che maggiormente hanno risentito delle loro pressioni. È nostra intenzione ripercorrere l’origine e le tappe più significative di questi contrasti che hanno originato frasi spesso dispregiative rimaste vive nella memorialistica orale.
Il 3 gennaio del 1287 in Apricale veniva sancito un patto di unione tra i comuni di Isolabona e Apricale. Fu a seguito di una richiesta di protezione da parte di Isolabona che le due comunità decisero di unirsi. A pag. 64 della Storia del marchesato di Dolceacqua... si legge: “Intanto la piccola villa di Isolabuona, le cui casipole si ergevano su nude roccie bagnate dalla Nervia, accorgendosi che esser piccioli e soli in momenti in cui la forza è l'unica delle ragioni, è troppo pericoloso, pensò di far fusione col finitimo comune di Apricale, il quale per trovarsi in prospere condizioni avrebbe potuto arrecarle aiuti.”La richiesta venne accettata dagli “Apricalesi” a queste condizioni:


1° Apricalesi dichiarano recipere homines Insulebone tamquam habitantes Apricalis, nonché si sottomettano ai Consoli e al Podestà di Apricale.

2.° Che gli uomini di Isolabuona debbano stare ai comandi di quelli di Apricale e accettarne come propri gli statuti.

3.° Che fra i due paesi vi sia unus campus cum castro Apricalis, e che tutto quello che Oberto Doria può fare in Apricale, lo possa pure in Isòlabuona.

4.° Che quei di Isolabona paghino i dacitita domino Apricalis.
Apricale del primo Novecento 


Per ben 287 anni la convivenza sembrò funzionare, ma le controversie legate all'interpretazione degli obblighi da rispettare, portò inevitabilmente al «divorzio». La scissione tra i due comuni fu sancita il 3 settembre del 1573 presso il castello di Dolceacqua in presenza di Stefano Doria. La stesura del documento di divorzio venne curata dal notaio Bartolomeo Giraldi di Genova. Questo fu solo l'atto conclusivo di estenuanti trattative portate avanti dagli amministratori e notabili di Apricale e di Isolabona. Lo storico Marino Cassini che ha condotto ricerche sulla scissione tra i due comuni, ha trascritto i punti su cui essa si è basata:


“Al comune di Isolabona competeva pagare a Stefano Doria, dazi, mutui, collette, stipendi e altri oneri pubblici e privati, per un terzo, mentre i rimanenti due terzi spettavano al comune di Apricale. Il territorio sino ad allora in comune veniva attribuito per due terzi ad Apricale e per un terzo a Isolabona. Ogni privato poteva comunque mantenere il possesso della sua proprietà anche se si trovava sul territorio dell'altro comune e non era tenuto a pagare a questo alcuna tassa gravante sul terreno. I campari di Apricale e quelli di Isolabona dovevano sorvegliare le terre appartenenti ai loro comuni, anche se queste appartenevano a residenti nell'altro comune. Ognuno poteva portare armenti e attrezzi nelle proprie terre. Eventuali danni dovevano essere valutati dai campari o da periti secondo gli Statuti del luogo su cui il danno era avvenuto. Come già era accaduto all'atto dell'unione dei due comuni, la divisione non portò certo la pace perché sorsero subito questioni e controversie sulle quali l'accordo precedente non era stato chiaro” 


Roberta Sala © -per :www.isolacometivorrei.com
Written@ValeB/HP




Apricale e Isolabona:

dalla convivenza al divorzio (1287-1573).


2° puntata

Isolabona del primo Novecento
Sulla carta i punti sembravano esaustivi e di facile attuazione ma, il loro rispetto pose serie questioni, proprio come avvenne per
l’atto di annessione. Infatti, ancora quattro anni dopo la firma, Stefano Doria doveva intervenire per mettere pace tra le parti. Sorse, ad esempio, la questione sollevata dagli abitanti di Apricale i quali accusavano quelli di Isolabona di tenere chiuse le porte di accesso al paese, impedendo agli “Apricalesi” di accedere ai loro mulini, alle loro case e nuocendo al loro commercio. Il ricorso fatto dagli “Apricalesi” al Governatore di Nizza diede loro ragione. Con sentenza emessa il 27 agosto del 1663, egli condannava i “Lisurenchi” ordinando loro di «tener aperte le porte del paese anche di notte».
Questa sentenza provocò un'ulteriore, drastica chiusura da parte degli abitanti di Isolabona verso quelli di Apricale. Iniziarono infatti, nuove controversie relative al pascolo, alla raccolta delle castagne e delle nocciole, fino ad arrivare a quella relativa alla condivisione del greto del torrente Nervia per il prelievo delle pietre da parte degli abitanti di Apricale e, infine, al passaggio delle mandrie di Apricale attraverso la piazza della chiesa di Isolabona.
Un altro caso documentato nella memorialistica è legato al periodo dell'ampliamento della chiesa di Isolabona.
Nel 1713 erano in corso lavori nella chiesa parrocchiale di Isolabona quando, si verificò un grave incidente. Fu anche questo doloroso fatto motivo per accentuare i diverbi tra i due paesi.
Dalle memorie di Gio Antonio Cane ordinate dal figlio Francesco, possiamo leggere una nota relativa a questo episodio:
“Quando andò a terra la volta della Chiesa gli Apricalesi dicevano nella Chiesa d'IsolaBuona vi nasceranno li roveti. Il Reverendo Rettore Ignazio Calvini sentendo questo, invitò tutto il Popolo a metter mano all'opera “
L'invito del reverendo fu accolto da tutta la popolazione tanto che: Nello spazio di giorni quindici empirono la fornace e le legne necessarie l'hanno prese in Beimano e in un mese vi diedero il fuoco tutti d'unanime consenso . I lavori continuarono ininterrottamente e nel 1715 giunsero a termine. Anche in questa occasione si trovò il modo per dileggiare gli “Apricalesi”.
Nel 1715 si è fornito l’opera e tutto il pulimento ornato l’opera, come si suol dire “Finis Corona questo a disprezzo degli Apricalesi. L'utilizzo della parola disprezzo è molto eloquente, quasi a voler sancire uno stato d'animo ben radicato di astio verso gli “Apricalesi”.
Bisogna aspettare più di centocinquanta anni per trovare nelle fonti scritte atti riguardanti i tesi rapporti tra i due paesi. L’atto più eloquente è rappresentato dalla delibera comunale per un fatto ritenuto doloso ai danni della fontana di Isolabona per mano di un “Apricalese”. Si trattò di un fatto ritenuto assai grave sul quale gravò il pesante sospetto del dolo, se l’Amministrazione ritenne di convocare immediatamente un Consiglio straordinario. Dalla relativa delibera datata 10 ottobre 1858 si evince che un certo Pisano di Apricale fu accusato di aver volontariamente provocato la rottura della copertura della fontana. A sua difesa il Pisano sostenne che: «la lastra di marmo non era ben ferma e che la bestia fermatasi a bere ed essendo carica di lunghi fasci di canne, ha urtato la pietra malferma facendola cadere».
Il Consiglio non accettò questa tesi difensiva e ribadì che: «la lastra di marmo stava lì da più di quattrocento anni e non sarebbe caduta se non fortemente spinta, che il Pisano usò negligenza nel non custodire e tenere occhio alla sua asinina traversando questo Comune, dunque egli è responsabile del danno e obbligato a pagare a sue spese il rifacimento del coperchio della fontana».
Nell'Archivio storico comunale, è stato recentemente rinvenuto, un fascicolo che elenca una serie di fatti accaduti nell'agosto del 1841, dispetti, scontri fisici, vendette che vedono protagonisti nuovamente gli abitanti dei due Comuni.
Con la cacciata dei Doria e l'Unità d'Italia i rapporti tra i Comuni divennero più distesi e si cercò di trovare accordi per la divisione delle terre, dei pascoli e dei boschi. Risale al 1869 una offerta da parte del comune di Isolabona a quello di Apricale del bosco di “Osaggio” in cambio del territorio di “Veonixi” e della zona della “Castagna”. Apricale accettò, facendo però notare che il cambio non era per loro vantaggioso e, pertanto, richiese quale conguaglio una parte del “bosco di Bunda” che gli venne concesso.
Secoli di diatribe e di leggi sembrano non aver lasciato tracce significative. Oggi la convivenza tra i due Borghi è da considerarsi pacifica anche se ogni occasione è valida per rammentare vecchi dissapori quando, tra amici, si nomina l’argomento. Apricale ha conservato tutta la sua bellezza e in tempi recenti ha ricevuto il riconoscimento e la collocazione tra i “Borghi più belli d’Italia”, primo fra quelli liguri e ha ricevuto la “Bandiera Arancione”, simbolo di una volontà politica di investire nel turismo.
Isolabona stenta a trovare una sua analoga collocazione, anche se, da parte dell’Amministrazione comunale, si coglie la volontà di recuperare la propria storia attraverso i personaggi che hanno contribuito alla sua crescita. In campo economico si sta lavorando al rilancio dei prodotti tipici in primis la Cubaita, dolce tipico “Lisurenco” che ha ricevuto la “ Denominazione Comunale”. La strada da fare resta comunque molta.

 

Roberta Sala © -per :www.isolacometivorrei.com
Written@ValeB/HP




Apricale ed il suo Castello

 

1° parte

Oggi vogliamo parlarvi del Borgo medioevale di Apricale che si trova nella Val Nervia a 291 mt sul mare. Apricale (il nome deriva da Apricus, esposto al sole), è un Borgo di rara bellezza, con la sua cascata di antiche case di pietra molte unite fra di loro da archi che si affacciano su carruggi e vicoli sul pendio della vallata dominata dall'altura del Castello.
La formidabile posizione del Castello, sopra uno sperone roccioso emergente dall'erta dorsale collinare e a dominio della sotto stante insellatura poi trasformata in piazza, autorizza a ipotizzare che in età preromana il sito ospitasse un castellaro, anche se finora sono mancati riscontri archeologici.
Di certo si sa che furono i conti di Ventimiglia a sceglierlo intorno al X secolo per farne il baluardo difensivo del luogo attorno al quale si è poi sviluppato il Borgo medievale.
La facciata era fiancheggiata da due torri quadrate, di cui la superstite, venne trasformata in campanile. Nel corso del secoli il Castello fu sottoposto a numerosi rimaneggiamenti.
Passato il comune ai Doria, venne forse ingrandito e rafforzato, ma nel 1523 non potè resistere all'assedio del vescovo Agostino Grimaldi, che lo distrusse parzialmente senza tuttavia riuscire a catturare Bartolomeo Doria l'assassino del fratello, che vi si era rifugiato.
La successiva ricostruzione lo rese nuovamente agibile, ma con funzioni militari ridotte.
Passato ai Savoia nel 1634 e ancora a Francesco Doria nel 1652 (quando questi venne nominato marchese), fu venduto nel 1806 per 3.400 lire genovesi a Stefano Cassini, che iniziò la sua trasformazione in residenza privata.
All'inizio del Novecento, il chirurgo Fruttuoso Cassini, che lo aveva ereditato, vi ricavò due appartamenti che fece affrescare da Leonida Martini, e realizzò il giardino pensile sostenuto da un nuovo muraglione verso la chiesa.
Dopo un periodo di decadenza è stato acquistato dal Comune e sottoposto a un provvidenziale e radicale restauro, che lo ha restituito alla sua antica dignità.
Sono stati inoltre recuperati gli ambienti sotterranei, mentre i signorili ambienti affacciati sul giardino pensile del piano rialzato accolgono diverse sezioni del Museo della Storia di Apricale. Il grandioso salone del piano superiore e le sue appendici laterali ospitano spesso durante l'anno mostre d'arte e manifestazioni culturali.
 

                                                                                               
V. Batchelor - fonte: www.apricale.org 
Written@ValeB/HP  
 




Apricale e la sua piazza


2° parte

La piazza principale di Apricale dedicata a Vittorio Emanuele II, è senza dubbio il cuore pulsante del Borgo, in cui si affacciano tutte le principali vie del paese.
Lo sbocco del grande spazio era un tempo difeso da un torrione, di cui rimane memoria nel nome della zona, la Turaca.
L'insellatura ai piedi del Castello, forse adibita a fossato, venne sistemata alla fine del Quattrocento nella platea nova communis o platea magna, vasta area dalla forma irregolare quadrangolare in leggera discesa.
La pavimentazione è in lastroni di arenaria; al centro la pietra scolpita detto ciotu de magiu(pietra di maggio), costituiva la base per l'innalzamento dell'albero di maggio o della libertà, oggi usata in diverse occasioni come basamento per l'albero di Natale, l'albero di ulivo nella festa dell'olio nuovo e per l'albero della cuccagna, durante la festa della primavera.
La piazza, aperta sul lato meridionale, viene illuminata da giochi di luce durante il giorno, appare incassata fra le sovrastanti strutture murarie che sostengono gli edifici. Il lato sinistro è occupato dalle arcate di pietra a vista su cui si appoggia la piazzetta superiore, sagrato della chiesa parrocchiale dalla facciata neo romanica. Sotto le arcate o sui sedili di pietra i consoli medievali del Borgo, amministravano la giustizia.
Al termine della prima rampa acciottolata si apre il tratto settentrionale di via Martiri, delimitata dall'altissimo muro del Castello, che si affaccia sulla piazza col magnifico giardino pensile.
Il lato di fondo presenta una serie continua di edifici ottocenteschi culminanti nella "Casa dei Sindaci" dalle caratteristiche arcate in stile gotico.
Sulla sinistra via Garibaldi - in cui si vede ancora "la casa del boia", così detta perché secondo gli Statuti qui venivano appese come monito le teste dei criminali precedentemente giustiziati - scende fino ai piedi del paese.
Sulla destra invece si apre un porticato dalla doppia arcata che sostiene la balconata su cui prospetta l'oratorio barocco di San Bartolomeo cui si accede salendo la rampa laterale.
Ai lati dell'oratorio si aprono rispettivamente via San Bartolomeo (Cousinaighe) che risale la collina, e via Cavour (Bouser), che conduce al cimitero e alla chiesa di Sant'Antonio Abate.
La seconda arcata è occupata da una fontana monumentale formata da una grande vasca rettangolare di lastroni quadrati di pietra, dove si getta l'acqua che scaturisce da tre bocche poste al centro di dischi lavorati. La struttura della fontana richiama modelli rinascimentali.
Il lato destro della piazza è completato, a un livello inferiore, dall'edificio municipale, costruito nel 1863 in sostituzione di quello precedente cinquecentesco.
La facciata è ornata da sei affreschi di artisti contemporanei su due registri, che dall'alto al basso raffigurano La fondazione del Borgo(L. Musso), L'emanazione degli statuti (R. Cassini), L'assedio del vescovo Agostino Grimaldi (E. Frana), Fame e carestia (F. Stasi),L'attività agricola (M. Raimondo) e la Costituzione della Comuità Artistica Nervina (M. Agrifoglio), episodi che ripercorrono le tappe più significative della storia del paese. Sotto gli affreschi spicca la Veduta della Chiesa e del Castello, in piastrelle di ceramica policrome (A. Marra 1987). 
V. Batchelor - fonte: www.apricale.org 
Written@ValeB/HP  

 

Camminando per Dolceacqua

Il primo Borgo medievale di cui vogliamo parlarvi è quello molto conosciuto di Dolceacqua, che si trova nell'entroterra della Val Nervia, bandiera arancione.

La bandiera arancione è il marchio di qualità turistico ambientale del Touring Club Italiano, è destinato alle piccole località dell'entroterra che si distinguono per un'offerta di eccellenza e un'accoglienza di qualità

Qui troviamo un tipico borgo medievale, la sua  parte più antica posta ai piedi del monte Rebuffao, è dominata dal Castello dei Doria e chiamata dagli abitanti Terra, mentre quella più moderna chiamata  il Borgo, si allunga sulla riva opposta del torrente  Nervia, ai lati della strada che sale la valle, i due nuclei sono collegati da un elegante ponte a schiena d'asino, a un solo arco. 
Ai piedi della Terra, la chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate, di origini quattrocentesche, ingloba una torre angolare quadrata delle antiche mura, divenuta la base del campanile. Inoltre possiamo visitare la chiesa di San Giorgio, costruita nell'XII secolo in forme romaniche,  trasformata poi in epoca gotica e barocca. 
La cripta, divenuta sepolcro della famiglia dei marchesi, accoglie tuttora le tombe di Stefano Doria del  1580 e di Giulio Doria del  1608 .

Salendo per i suggestivi carruggi all'interno del borgo antico si possono trovare diverse botteghe di artisti, di artigianato e negozi che espongono i loro prodotti tipici come l'olio extravergine di oliva, un prodotto locale eccellente e ricercato, le cantine  che offrono degustazioni di Rossese di Dolceacqua, un vino rosso rubino a denominazione di origine controllata. 


 Eventi e Curiosità: 

"A Dolceacqua possiamo seguire le tradizioni conservate del suo passato contadino e delle sue vicende nella storia"

La prima manifestazione dell’anno è la processione di San Sebastiano, che si svolge la domenica più vicina alla festa del santo, il 20 gennaio. La solenne processione riprende, in chiave cattolica, un culto precristiano, con l’albero dei falsi frutti a significare la gloria della fertilità e della fruttificazione.

La  ”Festa della Michetta”, un dolce tipico locale, si svolge il 16 di agosto a ricordo dell'infame jus primae noctis preteso dal tiranno Imperiale Doria nei confronti delle giovani spose e cancellato insieme ad altri soprusi nel 1364. Da allora il semplice dolce, una specie di brioche dalla forma caratteristica, viene chiesto dai giovani alle ragazze, che lo distribuiscono in segno di simpatia nel corso di una allegra festa  musicale fra i carruggi del paese.

A Natale, sulle due piazza principali del Borgo e della Terra vengono accesi  dei grandi falò. E' tradizione che i giovani del paese vadano a raccogliere legna per alimentare il fuoco del proprio rione per farlo durare il più a lungo possibile.

Durante l'anno ci sono diverse manifestazioni di grande interesse che attraggono  un folto pubblico da ogni parte d'Italia e dall'estero.  


Ogni ultima domenica del mese c'è il "Mercatino del Biologico", il 15 Marzo, la "Fiera di Marzo", nel ponte del 25 aprile si possono ammirare i "Carruggi in Fiore", e durante il mese di maggio un evento sui prodotti tipici della zona, chiamata “Tesori della Riviera di Ponente” e “Barone Rosso”, evento biennale, una rassegna di modellismo.

Nei mesi estivi di luglio e agosto ci sono eventi di tradizione oltre ad alcuni appuntamenti fissi come “Musica nel castello”, commedie dialettali, sagre, e concerti bandistici.



Camminando per le strade di Dolceacqua ...

Troviamo ristorantini deliziosi che offrono una buonissima cucina di ricette locali, i  “ravioli c'u pesigu'”, (ravioli con pizzico) i “gnochi de pan”, (gnocchi di pane) il “cartelètu” che è un tipico piatto ottenuto dal quarto anteriore del capretto da cui si ricava una tasca e si riempie di bietole, uova e formaggio, quindi si fa cuocere ottenendo delle cotolette ripiene. Non possiamo dimenticarci dello “stucafi”, (lo stoccafisso) una volta ammollato si fa cuocere in pezzi infarinati in casseruola insieme a cipolla, aglio, pomodoro e prezzemolo e poi si aggiungono patate, fagioli e olive. ..

Per chi vuol immergersi nella visione di documentari d'interesse naturalistico, c'è il VISIONARIUM 3D, una sala per proiezioni in 3D e Omnimax (immagine totale) nei quali fotografia, musica e poesia si fondono in un crescendo di meraviglia.

Volendo inoltrarci con l'auto per le strade nei dintorni di Dolceacqua si scoprono agriturismi che offrono prodotti genuini della campagna e volendo passare un week end in tranquillità immersi nella natura, dispongono di camere per soggiorni brevi o vacanze estive. Per chi non vuol allontanarsi vi sono altresì  numerosi B&B anche nel borgo antico del paese .


 

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